A partire da ottobre 2020 si è verificata una progressiva riduzione della disponibilità di containers e di spazio per le merci sulle navi provenienti dai paesi asiatici – in particolare dalla Cina – e dirette verso l’Italia e verso altre nazioni europee. Le conseguenze di questa situazione pesano sugli operatori della logistica, su importatori e distributori, ma anche e soprattutto sulle aziende di produzione, che rischiano di vedere interrotta la loro catena di approvvigionamenti o di ritrovarsi, qualora riescano a imbarcare le merci e materie prime, ad affrontare costi di trasporto molto elevati.
In questo articolo cerchiamo di analizzare il fenomeno da diversi punti di vista, sia basandoci su fonti internazionali sia sulla nostra esperienza diretta.
Tra le cause principali dell’attuale congestione del traffico marittimo c’è sicuramente il Covid19. La pandemia, che si è diffusa progressivamente in tutti i paesi e a tutte le latitudini, ha impattato sulle singole economie nazionali: la riduzione dei lavoratori addetti alla logistica in molti porti del mondo ha provocato un ritardo nelle operazioni portuali con ripercussioni globali a cascata.
Molte aziende, in ogni parte del mondo, sono rimaste chiuse per diversi mesi; questo ha fatto sì che una quantità enorme di containers rimanesse bloccata nei porti e divenisse oggetto di contestazioni tra importatori ed esportatori; una disputa di cui sono state protagoniste soprattutto le aziende di distribuzione di prodotti finiti, spesso legate a cicli economici annuali.
D’altro lato, le compagnie marittime hanno messo in atto una riduzione del numero di navi e una razionalizzazione delle rotte oceaniche per cercare di mantenere stabili i prezzi dei noli. La conseguente scarsa disponibilità di cargo per il trasporto merci ha ostacolato il rientro dei containers vuoti.
A partire dal mese di giugno la Cina, dopo essere riuscita a controllare il virus, ha potuto riprendere le attività di esportazione, in particolare verso gli Stati Uniti. La domanda di prodotti negli USA ha ricominciato a crescere, ancora di più in vista delle festività natalizie; di conseguenza, è aumentata enormemente anche la richiesta di containers. Tuttavia negli Stati Uniti la consegna dei vuoti è piuttosto lenta, perché la conformazione geografica del paese fa sì che siano necessari molti giorni di free time perché i contenitori vuoti ritornino in porto. Se a questo si aggiungono la mancanza di autisti, la difficoltà a reperire automezzi adatti al trasporto di container, le contestazioni in atto sui moduli di trasporto svuotati, la richiesta di containers da parte degli agricoltori americani per l’export, si capisce perché si sia creato un enorme fenomeno di congestione. Tutto questo ha fatto salire notevolmente il prezzo dei containers, che attualmente è intorno ai 6.500 $, ma si prevede che per gli imbarchi prima del capodanno cinese possa arrivare a superare gli 8.000 $. Non bisogna infatti dimenticare che in tutti i paesi del mondo le aziende dei vari settori tendono ad approvvigionarsi di scorte per tempo, per anticipare il fermo del gigante orientale dovuto ai festeggiamenti del capodanno. Nel frattempo le fabbriche in Cina continuano a produrre anche per gli altri paesi esteri; tuttavia la merce non riesce a partire e le aziende cinesi, soprattutto quelle di piccole e medie dimensioni, non sono disposte ad accollarsi un aggravio dei costi di non meno di 4.000 $ per container da 40”, aumento che non risparmia neanche i contratti di vendita con termini di resa CIF. Tale incremento sui beni di largo consumo è insostenibile. Non solo non si riesce a prenotare i containers last minute, ma spesso le compagnie marittime comunicano di non avere spazi disponibili per diverse destinazioni.
I magazzini delle fabbriche cinesi si stanno quindi riempiendo di merce, e con molta probabilità i produttori saranno costretti a fermarsi anche prima del capodanno cinese per l’esaurimento dello spazio di stoccaggio della merce.
Il rallentamento dei trasporti marittimi sta avendo dunque serie conseguenze sull’import mondiale di materie prime e prodotti finiti; se a questo si aggiunge il fermo della produzione in Cina per il capodanno, si capisce facilmente che i ritardi nella distribuzione diventeranno a breve importanti.
Da un certo punto di vista la pausa nella produzione cinese potrebbe riequilibrare la situazione, a condizione che nel frattempo si provveda a rimediare alla mancanza di containers vuoti e al loro rientro in Cina. Stando alle informazioni ad oggi disponibili, la situazione dovrebbe normalizzarsi entro la fine di marzo 2021.
Certo, esistono anche altre forme di trasporto, come quella via treno. Tuttavia il trasporto su rotaia è decisamente più costoso e non è comunque immune dal problema della mancanza di containers.
La situazione attuale quindi comporterà interruzioni o comunque grossi rallentamenti nella catena degli approvvigionamenti almeno fino ad aprile 2021. Vero è che il problema dei containers vuoti fermi e dislocati nei diversi porti e il divario tra l’import e l’export da e per la Cina erano già presenti prima del Covid-19: la pandemia non ha fatto altro che acuire le difficoltà.
Come operatori del settore abbiamo cominciato a segnalare la questione già agli inizi di ottobre 2020 ai nostri clienti. Al momento però l’aumento dei noli non era ancora considerato rilevante e il trend, benché già evidente, era ritenuto solo temporaneo. Gli importatori, già fortemente colpiti dalla contrazione dei consumi, non volevano vedere ulteriormente ridotto il margine di contribuzione per l’importazione dei beni di largo consumo.
Una giusta strategia degli acquisti, dunque, richiede oggi valutazioni complesse e una continua attenzione alle tante variabili in gioco, tra cui anche i termini di resa della merce e la puntualità nel rispettare i contratti di acquisto. Acquistare all’estero non può essere visto come un’azione isolata, in quanto un errore di valutazione strategica può impattare sull’intero processo di produzione o di distribuzione, con rilevanti conseguenze aziendali e di reddittività. Non ci occupiamo di logistica, ma una corretta strategia di acquisti all’estero non può prescindere da valutazioni di total cost of ownership e, talvolta, di lean management.
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